Una storia di superbia medica, quella di Tafida Raqeeb.
Non la prima, alla quale ci hanno ormai abituato invece i pediatri inglesi, con gli eclatanti casi di Charlie Gard, Isaiah Haastrup e Alfie Evans, e tanti altri meno noti.
Una strage silenziosa con il totale assenso delle istituzioni britanniche, le quali, con la scusa del sottofinanziamento delle aziende ospedaliere abilmente nascosta dall’ineffabile bugia che morire è nell’interesse del malato, stanno uccidendo pazienti con malattie degenerative e affetti da gravi disabilità .
Tafida lo scorso 9 febbraio entra in coma, dopo un’emorragia cerebrale dovuta allo scoppio di un’arteria. Da quel giorno vive in uno stato di minima coscienza, ma con lenti miglioramenti che l’hanno portata ad afferrare i giocattoli, a riconoscere la voce dei familiari, a seguirli con lo sguardo e a stringere loro la mano.
Dopo soli 3 mesi invece i medici del London Royal Hospital hanno deciso che era necessario sospendere le cure e staccare la ventilazione artificiale e sono stati pronti perfino a sottoporre la piccola a nuovi esami, approfittando anche dell’assenza della madre, atti a dimostrare la necessità di sospendere l’assistenza sanitaria.
Shelina Raqeeb ha chiesto allora un parere al Gaslini di Genova ed i pediatri italiani hanno ribadito che è un processo lento e bisogna vedere come la figlia reagisce alle cure. Tafida ha un aneurisma e non una malattia degenerativa, non è in morte celebrale ed è assurdo decidere coscientemente di farla morire.
Di fronte all’ennesimo diniego del London Royal Hospital a consentire il proseguimento della terapia, Shelina ha portato il caso innanzi all’Alta Corte britannica, chiedendo di poter trasferire la bambina in Italia per poterla continuare a curare e a proprie spese.
Ci auguriamo che lunedi mattina i giudici inglesi scelgano di dare una chance alla bimba e ne consentano il trasporto al Gaslini.
Tutti i bambini hanno il diritto di ricevere cure adeguate per avere la possibilità di ritornare a vivere con dignità .
Nessun essere umano ha invece un interesse a morire.
Così in una nota Cinzia Pellegrino, Coordinatore nazionale del dipartimento tutela Vittime di Fratelli d’Italia.